Attore e autore italiano. Dopo un precoce
esordio in teatro all'età di 14 anni,
S. ottenne la prima
consacrazione di pubblico e di critica nel 1870, con la farsa
Feliciello
mariuolo de 'na pizza. In essa l'attore interpretò don Felice
Sciosciammocca, una maschera moderna che creò per lui A. Petito e che
riuniva in sé i multiformi aspetti dell'anima partenopea. Il successo lo
impose all'attenzione dell'impresario del teatro di San Carlino, che lo
scritturò di lì a poco, impiegandolo insieme ad A. Petito, il
celebre Pulcinella. Alla morte di quest'ultimo e dell'impresario,
S.
diede vita a una compagnia propria. Le sue commedie ottennero subito grande
popolarità, grazie anche alla costante presenza del tipo prediletto da
S.: un personaggio che calcava le scene vestito di uno stretto abito a
quadretti, indossato insieme a un tubino e alle immancabili scarpette. Tra le
produzioni più significative di questo periodo spicca
Don Felice
maestro di calligrafia (1877), divenuta poi
Lu curaggio de nu pumpiere
napulitane. Dopo diverse e fortunate tournée a Napoli, Roma e Milano,
nel 1880
S. volle riattivare il San Carlino e, per far ciò, si
impegnò in una grandiosa riforma del teatro popolare napoletano. Frutto
di questi anni fu la creazione di un repertorio comico innovativo, che poneva al
centro dell'intreccio non più la plebe, spesso oggetto di grottesche
caricature, bensì la borghesia. Il successo fu immediato, specie con
opere come
La presentazione di una compagnia comica (1880),
‘O
scarfalietto e
Tre pecore viziose (entrambe del 1881), per lo
più versioni napoletane di
pochades e
vaudevilles francesi
(anche se non mancarono creazioni originali). In seguito alla chiusura e alla
demolizione del San Carlino,
S. si trasferì al Teatro dei
Fiorentini. Qui, pur proponendo un repertorio nuovo, più sofisticato
rispetto al precedente, ebbe un'accoglienza favorevole; il pieno successo,
tuttavia, venne raggiunto solo ritornando al genere che lo aveva reso celebre,
ovvero con
Miseria e nobiltà (1888) e
‘Na santarella
(1889). Dopo il 1890, con l'inaugurazione del salone Margherita, presso la nuova
galleria Umberto, e con la proposta del varietà e del
café
chantant, la fortuna di
S. cominciò a eclissarsi, tanto da
indurlo, nel 1909, ad abbandonare le scene. Il figlio
Vittorio divenne
suo erede artistico; a lui
S. lasciò la compagnia e passò
la maschera di don Felice, che aveva impersonato fino alla fine. Tra il 1914 e
il 1920 partecipò ad alcuni film e pubblicò un'autobiografia, di
cui lo stesso Croce scrisse l'introduzione (
Cinquant'anni di
palcoscenico, 1922) (Napoli 1853-1925).